Testi Critici

Adele Lo Feudo, ALF, è donna e artista di straordinaria sensibilità. Lo dimostra la sua vicenda biografica, condivisa in queste pagine; lo conferma la sua capacità di interpretare, di cantare attraverso l’arte sentimenti rari, come la gratitudine, come l’amicizia, come l’amore, familiare (ben evidente in un sentimento pieno e devoto per papà Vincenzo, a cui deve la prima scintilla artistica, per il marito Silvio, per il figlio Ezio) e universale.  
Sulle basi di questa capacità, ALF sa, ad esempio, rendere grazie della vita, ricevuta e difesa come bene preziosissimo (si pensi ad AMOR, una sorta di interminabile Rosario artistico per ringraziare chi l’ha aiutata, con umanità e professionalità, quando ha contratto il Covid); sa, ad esempio, rendere omaggio alla Donna, nella sua ricchezza inestimabile, nelle sue vitali contraddizioni. Da questa esigenza profonda nasce FragileForte: un ossimoro solo apparente, teso a restituire la bellezza e l’essenza della Donna, in ogni epoca e sotto ogni cielo. L’universo femminile raffigurato è ampio e ricco, parte dalla dimensione familiare, da zia Vienna, per abbracciare donne – decine di donne – che hanno scalfito luoghi comuni, che hanno superato ostacoli, che hanno sofferto e sacrificato se stesse, lasciando esempi imperituri.  
Insieme al rilievo dei temi affrontati c’è la peculiarità del modus operandi. Tra le diverse tecniche adottate, Adele Lo Feudo mostra un interesse speciale, fin da bambina, per i volti: occhi, nasi, bocche, cioè l’essenza visibile, l’unicità di ogni persona. Occhi espressivi, che raccontano; visi vergati da crepe che ricordano la finitezza, la fragilità umana: rammentano che ognuno di noi è vetro graffiato dalle ferite più o meno profonde, ineliminabili, della vita. L’omaggio alla Donna – e all’umanità, intesa in senso lato – è dunque pieno e veritiero, restituisce la fragilità e la forza, in maniera concreta.  
Fiera calabrese, come si definisce, ma fortemente legata alla nostra Perugia – a cui la salda la riscoperta dell’originaria vocazione all’arte – Adele Lo Feudo incarna una passione profonda, innata, per la pittura, per i temi civili più delicati, per i sentimenti più autentici: è dunque un’artista in senso pieno, capace, con le sue opere, di restituire il visibile per far riflettere su ciò che è invisibile agli occhi. 

Leonardo Varasano 
Assessore alla Cultura del Comune di Perugia 

 

 

Ieri sera è stata inaugurata a Morro d’Alba, una delle mostre più intense di sempre. Adele Lo Feudo, in arte ALF, è un’artista molto sensibile, in grado di trasferire sulla superficie pittorica l’emozione che vive come catarsi nel momento in cui dipinge e raccontare come dal dolore può nascere grazia e bellezza.  La sua è una pittura materica e coinvolgente. Una tecnica originale, del tutto personale in cui anche il retro della tela diventa spazio pittorico. La stoffa che si allunga come il velo della Veronica, diventa l’installazione “Rosso” con i volti delle donne vittime di femminicidio, lo sguardo dei bambini avvolti nel nero e le braccia che avvolgono il cuore, sono l’unico spazio in cui il rosso è assente. L’ installazione “Amor” che compone un rosario di volti femminili è testimone della gratitudine dell’artista dopo il superamento della malattia. Tutto in questa mostra parla dell’amore nelle sue varie forme attraverso la tinta, il Rosso, il colore del sangue e della vita.

Alessandra Boldreghini

Assessore alla Cultura del Comune di Morro d’Alba

 

 

Adele Lo Feudo
L’amore per la donna nell’arte

Avete mai sofferto? Prima di rispondere, vi chiedo di guardare ogni singola opera di Adele Lo Feudo, soffermandovi sui dettagli, sui particolari.
Respirate profondamente, le sentite urlare? Riuscite a sentire il loro dolore, la loro resilienza?
Artista fin da piccola, fin da che ha memoria, non è stato facile per lei decidere di dedicarsi interamente alla pittura. Certo è che gli anni di amore per l’arte che fin da piccola l’ha contraddistinta, ci portano ad oggi, alla sua grande capacità pittorica, alla spasmodica cura per il dettaglio.
I colori caldi, cupi, scuri che l’artista usa nelle sue opere, la prevalenza dei vari toni tra il nero ed il porpora, il chiaro scuro visivo che ci parla di un chiaro scuro interno, di anime lacerate, tormentate, sofferenti. Le rughe agli angoli della bocca, gli occhi più veri che simmetrici.
La precisione nel disegno, riportata poi in pittura che non può dirsi realista.
Perché i suoi dipinti sono fedeli alla realtà, ma alla realtà che solo Adele Lo Feudo con le sue opere ci rende fruibile. Una realtà spiacevole, sofferta e sofferente che troppo spesso viene insabbiata, nascosta, smentita.
Credo che la forza dell’artista sia proprio questa, quella di riuscire a raccontare e tradurre il dolore delle donne, rendendolo percepibile, visibile a noi con la sua capacità pittorica espressiva e con la sua forte emotività. Il tratto che usa per i volti ed i corpi di queste donne, per i particolari che ci raccontano, ci mostrano le loro ferite interiori.
Penso in questo momento al grande Rosario che ha realizzato, dipingendo
frammenti di donne dalle storie tragiche conosciute. I frammenti delle donne che sceglie di raccontare; storie di donne dalle vite piene di traumi che le hanno segnate non solo emotivamente, non solo nell’anima, ma anzi, diventando ben visibili in tratti di fatica rimarcati sui loro volti.
La pittura dell’artista vuole raccontarci la realtà, il dolore dell’essere donna, delle violenze di cui ancestralmente siamo vittime.
Ma se Adele Lo Feudo ed il suo attaccamento alla spiritualità sono così ben visibili è anche per questa sua capacità di guardare alle donne come a quelle anime che per millenni hanno subito soprusi di cui portano cicatrici ora visibili, ora invisibili.
La sua magia sta nella capacità che ha di rendere visibile l’invisibile, di tradurre le ferite interne in segni riconoscibili ad occhio nudo, con colori scuri, cupi ed intensi.
Adele Lo Feudo si pone e si presenta come portavoce di tutte quelle donne cui oggi e nel passato, è stata chiusa la bocca, cui non è stato creduto, per cui non è stata fatta giustizia.

Celeste Morè, critico d’arte

celestemore@art-alive.eu

ADELE LO FEUDO “AMOR”

 acrilico su tela e legno – lunghezza 700cm

 

L’Adele artista ha una missione: attraverso la sua arte  far apprendere il valore dell’Amore verso il prossimo. 

Dalle sue opere e dal suo pensiero artistico e umanistico  si origina un percorso ricordando la frase di San Agostino: “La misura dell’amore è amare senza misura.”.

Lei riesce con le sue opere a dare la forza, il valore umano e il valore indiscutibile della  Vita attraverso la “Donna” e  la “Madre”.

L’artista con l’opera  ha superato ogni sua iniziativa artistica e ha evidenziato le molte forme dei volti di “Donne” ognuna con una sua esperienza di vita, di umanità, di amori e di affetti.

L’opera si compone  di 54 impeccabili opere  come fossero acini a rappresentare i volti e anche i 4 sensi al posto dei misteri del Signore.

Vorrei analizzare il numero 54 che ha molti significati; nella simbologia il 54 è il numero  legato alla compassione e alla stabilità emotiva.

Secondo il significato nella numerologia il 5 è il valore della libertà e il 4 è l’ equilibrio del mondo. Nella bibbia non troviamo un significato del numero 54, ma troviamo le parole saggezza, orfano e Maria 54 volte nel nuovo testamento.

Questo numero significa quindi la compassione per il bene degli altri.

La chiusura del rosario con la medaglia della Madonna del Rosario,  opera di impeccabile esecuzione e’ di grande fattura.

Ricordo che l’origine della Madonna del Rosario è attribuita all’apparizione di Maria a San Domenico di Guzman (Caleruega, Burgos 1170 – Bologna 1221).

Dopo si collega con altri  dipinti tra cui spicca la Madre Teresa di Calcutta che rafforza l’impegno e l’amore dato e riverso per gli altri cosidetti  gli ultimi, dove solo l’amore ha dato la forza e l’ esempio di una UNICITA’ umana nella attuale contemporaneità.

In ultimo abbiamo la croce che  rispecchia la forza caritatevole e le stelle come lucciole che rispecchiano una luce del soffitto celestiale di Assisi (Giotto e Cimabue); l’opera immortala due mani che si uniscono in forma di forza e di fede.

Le mani unite hanno un significato di un atteggiamento di umiltà ma non di sottomissione, significa cioe’ porsi allo stesso livello dell’altra persona con il massimo rispetto e comprensione.

Si può anche definire un gesto di pace e amore.

La persona  con le mani giunte davanti al petto non può ne attaccare, ne nascondere qualcosa, ma si espone per ciò che è senza celarsi a niente.

L’Adele ha sintetizzato in questa opera il suo forte carattere che non si ferma mai e non si sottrae mai alla  “Fede” e all’Amore che ha verso il prossimo e alla compassione e il rispetto dell’altro.  Dico che in questo Rosario è immortalato l’essere in persona dell’artista, ciò che è lei nella Vita una Donna Madre e credente.

Grazie che ho avuto la possibilità di conoscerti.

Donna Adele.

Claudio Roghi alias Utodatodi – critico d’arte

L’incontro con Adele, nella casa museo dove il grande maestro Antonio Ligabue solea  rifugiarsi nei momenti di difficoltà, lo ricordo con gioia.

Sono rimasto affascinato dalla sua personalità: lei una pittrice, lei una poetessa, lei una donna che è di per se luce. I suoi quadri sono senza tempo, poiché senza tempo è l’amore infinito che riesce a raccontare, toccando momenti di gioia e di disperazione nello stesso momento. In particolare in questa mostra, dedicata alla “Maternità “, si avvicendano pennellate forti  in cui si intravvedono passione, lirismo nell’uso del colore è una grande fierezza.

Adele riesce a farmi toccare con mano quell’umanità di cui necessitiamo nei momenti bui della vita. Ecco perché, in questo luogo, le sue opere trovano una giusta collocazione. La fierezza della “Tigre col suo cucciolo “ avrebbe reso orgoglioso Ligabue, anche il quadro dove Antonio viene immortalato con la “sua Cesarina” sprigiona un sentimento puro e dolce. Sono commosso ed entusiasta di poter presentare le opere di questa pittrice, sicuro dell’approvazione che riscuoterà presso coloro che coglieranno  l’opportunità di godere di questa mostra.

Angelo Leidi

critico d’arte

Se l’arte è un dono e se un dono ha valore solo quando è generoso e gratuito, l’opera di Adele Lo Feudo è un dono vero, nasce da scaturigini autentiche, anche se è arte quotata e di valore. È un’esigenza profonda di mettere a disposizione il personale vissuto, nonostante sia spesso doloroso, per indicare agli altri la via verso la completezza della propria umanità e anche, non esagerando, la via della propria redenzione. L’attesa escatologica e soteriologica è, infatti, il motore di questa ricerca artistica, dall’atto della creazione, alla capacità di raccontare ed esporre l’io, fino all’ultima ricezione. L’artista espone le esperienze sue e di altri personaggi, spesso storici, cercando di conferirne un senso.

Chi si confronta con le opere di Adele, che d’ora in poi chiamerò ALF (come lei stessa si firma), vive un impatto violento con la realtà che si squaderna spietata e vera, senza remore, anche quando le cornici barocche, le trine, le pietre, i tessuti conferiscono a ogni ritratto una studiata preziosità. Questa pittura rappresenta il retroscena della vita, e continuamente s’intreccia con essa, ne è testimonianza e allo stesso tempo motore. Se è la vita a marcare l’esigenza dell’espressione attraverso l’arte, l’arte è un ricreare la vita in una catena di sequenze, che la dilatano quasi fino all’infinito. Tra il quadro e lo spettatore, inoltre, si annulla ogni distanza, scompare il proscenio, e si viene catapultati senza filtro in una verità che irrompe quasi con violenza nello spettatore. L’assenza di mediazioni tra l’autrice e la sua opera è un modo per condurre direttamente chi osserva e chi legge nelle pieghe e tra le piaghe dell’io, preziose queste ultime perché inguaribili e creative.

Il viaggio nei mondi raccontati ed esplorati, soprattutto quelli femminili, è un audace percorso verso le estreme propaggini della conoscenza. A volte si ha la sensazione che l’artista voglia sfidare la resistenza al dolore, rappresentandolo pienamente nella sua drammatizzazione. E in questo raggiunge le vette estreme, come fa il teatro, in cui la vita è un sogno che solo la pittura e il gesto possono cercare di raffigurare. Il bravo pittore, infatti, riesce a rappresentare anche la realtà altra, ciò che sta dietro un’immagine che la vita distratta del nostro quotidiano può omettere o ignorare.

Ogni immagine di ALF, iscritta in tondi che a volte hanno la dimensione anche di una miniatura, è essenzialmente un volto che sembra affiorare da fotografie antiche, dagherrotipi, e impressioni di vario tipo. La pittura confluisce da un passato pieno di eredità e di memorie. Anche quando si tratta di fotogrammi recenti, hanno sempre da esprimere un vissuto, sono sintesi narrative dalle quali traspare l’esperienza. Ascoltare Adele che fa da cicerone alle sue opere è entrare nelle logiche del passato di ogni individuo: spesso sono controversi profili di donne rivoluzionarie, o di spiriti liberi che si sono scontrati con le frontiere della storia.

Esiste una luce, nelle sue opere, che si origina proprio dalla passione per i racconti. Ogni ritratto, ogni effigie ha una storia che l’autrice si propone di narrare attraverso lo sguardo, la luce degli occhi, il posare. Sono personaggi raffigurati a volte con crudo realismo, si stagliano dal quadro che appare senza sfondo. Sono figure sospese nello spazio, che hanno però attraversano il tempo fino a noi e vengono a noi restituiti nella sapiente profusione di colori. Ogni quadro s’iscrive nei ricordi, genera un serbatoio di emozioni al quale lo spettatore attinge anche in seguito. Si tratta di un orizzonte poetico sia vivido sia sfumato, soprattutto carico di emozioni che rimangono impresse.

Nell’ultima sua mostra “Un cuore solo”, la centralità è del cielo, quello che la pittrice, appoggiando la testa al cuscino, riusciva a vedere dalle finestre rigidamente chiuse della sua stanza di ospedale. Intorno ai cieli, agognati baluardi della libertà, ruotano gli sguardi dei diciotto personaggi che l’hanno assistita nel percorso doloroso della convalescenza dal covid. Sono sguardi che irrompono anch’essi come attraverso battenti violentemente aperti da una tempesta. Sono occhi che emergono dalle maschere chirurgiche quasi ai limiti dell’apnea e dello sforzo, ma sono persone miti e rassicuranti. Sono gli angeli che l’hanno sostenuta nel suo cammino, angeli che parlano a noi della vita e della lotta implacabile che si deve affrontare per custodirla. 

Se lottare per la sopravvivenza è il destino dell’uomo, se il senso di questa lotta sembra non coglierci quando il benessere ci garantisce ogni sicurezza, l’arte invece ci fa ripensare al darwinismo, alla sopravvivenza anche emotiva e psicologica che attanaglia ciascuno di noi. La tela imprime le nostre sfide quotidiane e ne fornisce l’espressione massima della forza, se non della violenza richiesta. Per questa ragione la vita rimbalza da queste opere come un’indistinta mistione di gioia e dolore, di luci e ombre, di colori caldi e di colori freddi, di aperture e chiusure, di urla e di silenzi, di forze e debolezze. È radice di vita che promette altra vita, in una sequenza aperta e propositiva pur nella raffigurazione della malattia e della solitudine in cui è spesso marginalizzato l’uomo.

L’impianto è quello della moderna “medicina narrativa” dove l’esperienza individuale acquista un senso solo se proiettata in una rete di racconti e di reciproci scambi. In questo senso, non solo la parola fornisce un contributo, ma anche l’immagine, soprattutto se e quando narra con sincerità le esperienze affrontate, il male che è stato sconfitto. Mostrare la sofferenza è un modo sia per esorcizzarla, sia per metterla a disposizione degli altri, perché il sacrificio individuale non vada perduto. Riferisce Erodoto, uno storico del V secolo a.C., che presso i Babilonesi, quando non esisteva ancora la medicina ufficiale, il malato era esposto sulla pubblica piazza. Il passante che riconosceva i sintomi, o perché ne aveva sofferto lui stesso o perché conosceva qualcuno che li aveva avuti, era obbligato a indicare anche i rimedi ai quali avesse fatto ricorso. Così fa ALF: mette a nudo l’esperienza, in una sorta di body art, dove lo spettatore però non è invitato a scaricare la propria tensione sul corpo dell’artista (pensiamo alle Happenings di Allan Kaprow o alle più recenti ricerca di Marina Abramović), ma a riconoscere i segni di una umanità comune, spesso sofferente, sola e in cerca di riscatto.

È un mondo popolato di storie che emergono dal passato, più o meno recente, dall’infanzia e dalle relazioni famigliari. Da un magma indistinto della memoria si affacciano figure reali che si presentano però come proiezione dell’io: sono aiutanti o anche antagonisti, sono ricordi buoni o dolorose presenze da domare, con i quali comunque bisogna imparare a convivere. Il messaggio profondo di ALF è la ricerca di una chiave per risolvere le tensioni antiche e nuove, o tentare di farlo, una partita che andrebbe chiusa quando ci appropriamo della vita, ma che quasi nessuno, forse, riesce a chiudere mai.

Il bagaglio di emozioni e di racconti di quest’arte s’incentra sulla memoria e vi si deposita, come in uno scrigno, una sorta di possesso perenne da aprire e riguardare per poterlo comprendere nel tempo, attraverso una serie di ripensamenti. È un’arte di riflessioni e di emozioni che a un primo sguardo imprime e che solo dopo, con il recupero nei ricordi, riacquista la sua imponente vitalità. Il suo insegnamento consente l’irruzione del sacro, restituendo la fede nella vita e nella epifania di un suo senso, sempre più profondo e progressivo.

Donato Antonio Loscalzo,

Poeta e professore di lingua e letteratura greca presso Università degli studi di Perugia

“Un cuore solo” è innanzitutto un convincente tentativo di storicizzare ed esorcizzare, al contempo, la dolorosa tempesta causata dalla pandemia prodotta dal Covid 19. Partendo da una vicenda personale – condivisa idealmente con tutti coloro che hanno avuto la grazia, la forza e la ventura di sconfiggere il virus – Adele Lo Feudo/ALF sintetizza attraverso questa nuova mostra una preziosa combinazione di significati.

Nelle opere di ALF, nei volti e nei cieli che caratterizzano l’esposizione ospitata nella Rocca Paolina, coesistono infatti il ricordo della paura e del dolore, lo stupore, la gratitudine, la speranza, la voglia – decisamente controcorrente – di narrare e testimoniare l’umanità sperimentata e la professionalità ricevuta. I volti riprodotti sono vivi, intensi, rassicuranti, benché provati dalla fatica. Gli sguardi che affiorano dietro le mascherine chirurgiche, simbolo della complicata epoca del Covid 19, sono gli sguardi di donne e uomini, di medici e infermieri, di angeli in camice che generosamente hanno dato il loro meglio per il prossimo: per i pazienti tutti e per ALF, che li ha voluti ringraziare così, facendo di loro un monumento – nel significato originario e più proprio del termine.

Al cospetto delle opere di ALF non ci si può non fermare a riflettere, ad immedesimarsi nel ricordo della sofferenza, del patimento, della rinascita. Nei ritratti, di ottima fattura, realizzati per “Un cuore solo” ci sono le persone – “persona”, giova ricordarlo, è una voce di probabile origine etrusca che rimanda alla maschera e al viso, facendo quasi coincidere l’identità con lo sguardo –, c’è l’Italia che lavora con passione, capacità e profitto, c’è la sanità pubblica che ancora sa dare buona prova, c’è l’empatia di chi sa provare emozioni vere. Nei cieli di ALF c’è il ricordo dell’ospedale, c’è l’orizzonte incerto unito alle nuvole che destano inquietudine. Ma c’è pure il sole, il desiderio di guarigione e libertà, la vita nuova che squarcia l’incertezza e vince ogni timore. Sopra ad ogni opera campeggia, maestoso, un invisibile “grazie”. In un mondo sempre più abbrutito e restio alle buone maniere, ALF manda un messaggio scintillante nella sua semplicità: quando si riceve un beneficio, quale che sia, dal più piccolo al più grande (com’è avere la propria vita salva), è buona norma ringraziare. E l’artista ringrazia, a modo suo, con i colori impressi a futura memoria.

Qualcosa, qui e ora, vivaddio, ancora funziona. ALF ha avuto il coraggio e la capacità di raccontarlo. Con le sue opere. Con la bellezza irriducibile dell’arte.

Leonardo Varasano

Assessore alla Cultura del Comune di Perugia

“So wonderful to get your art work, Adele. I love the idea behind your world and the mini paintings look amazing.”

Helen Pankhurst,

nipote di Emmeline Pankhurst, leader delle Suffragette

Adele Lo Feudo, the soul of Art deserves and saves Mankind
di Riccardo Proietti

Adele Lo Feudo (ALF) was born in Cosenza in 1967 but Perugia is the city where her artistic training was completed. Enchanted by her works, we are focusing on the cathartic and redeeming value of Art and hence on a conversation which turns into an interview.
Her first personal show was Wings for flying in 2010 followed by Fucsia in 2011, Motus Terrae in 2014 and many others. She organized events such A Pink Petal …not to forget, involving 65 artists in an anti-violence program on women, with a donation to a foundation with the works exhibited in Perugia and Cosenza.
In 2015 I realized a project titled Messi a nudo. I have asked various artists and common people to assume with a part of their body (exactly from the nose to the navel, using also the use of hands and arms) a pose that represented their personal concept of Art. Through an introspective inquiry of the same models where each of them represented a side of my own behaviour; the project began and ended with Adele painted twice as two opposing forces seeking an eternal balance.
Art as social awareness
The artist from Cosenza deals with the fundamental issues of her time – especially violence against women – deep reflections on the eternal conflict between life and death, (eros and thanatos), inspired by a dreamscape of life and work and invariably dedicated to her audience, with whom she wants to share her art.
I always thought that a painting was not only identified with aesthetics, but above all with content. Each work must include a message with social implications to be transmitted, poetry and emotion. Those who want to achieve goals must nevertheless suffer, and this side of life is so real in the most of my works; they often speak of fragility, pain , abuses, and surely, also about dreams and hopes.
Maccaturi
Cosenza is the hometown of Adele, very close to her roots. Starting from the photos of Gianni Termine, a calabrese Photographer, the paintress has created unique and original Maccaturi, painted on raw silk purchased by the cooperative Nido di Seta in San Floro (Catanzaro). The project involved 107 artists with the donation of 135 works.

The artist finely stretched the silk in a round frame, inside which she painted the images photographed by Termine. Inside each frame one can find the soul of an artist proud of her roots: seven artworks dedicated to Cosenza, and seven to Calabria.
Time after time, my artistic production has grown, becoming deeper and complex. Contradictions or rather contrasts are present in every person and I could not ignore it in painting. I continue to explore in the conviction that it will be a success as long as I can always be Adele. Art is nourishment and care for the soul…
Materials, techniques and performances
I usually paint with the acrylics, which I have been using since I had an allergic reaction to oil based colors. But this is not a strict criterion … how often the choice of using a given color, material or support, depends it depending on the project I want to accomplish. Everything changes based on the purpose I want to reach. I use everything: gauzes, feathers, nails, guitar strings, patches. ..
But if her works are original, her performances have a surreal and conceptual aftertaste …
Apparently, my performances were born randomly: in 2013, when I was involved in a project titled UbiCazioni and the organizers chose me because they were impressed with the set up of about how I had set up my unusual show at Cetona (Reflections). So in 2010 in New York I was fortunate to attend the performance of Marina Abramovic entitled Artist is present
I derive my take inspiration from my own life. Each of us has a wonderful and unique treasure, made of memories and something to draw. In my works and performances the conceptual is present. I love to combine different elements like painting, poetry, photography, music. I use everything I find useful to give value and strength to what my heart and mind feel to express.

Riccardo Proietti, blogger

Per giungere fino a te
di Marco Botti

Sette anni di intensa ricerca artistica condensati in una grande mostra retrospettiva.
Negli spazi ricavati dalla ex chiesa di Santa Maria della Misericordia, nel cuore di Perugia, Adele Lo Feudo presenta “Per giungere fino a te”, il suo nuovo progetto espositivo che guarda a ciò che è stato, ma con il cuore e la mente già proiettati al futuro.

Il sette non è un numero casuale. Considerato fin dall’antichità e nelle principali religioni e filosofie uno dei simboli per eccellenza, esso rappresenta la conoscenza, la ricerca delle parti più recondite dell’esistenza, l’equilibrio perfetto. Il sette è anche il numero della creazione e della vita, l’espressione della mediazione tra umano e divino, tra terreno e spirituale.
Tutti questi elementi fanno da sempre parte dell’universo lofeudiano e il visitatore li potrà individuare nelle varie sezioni da cui è composta l’antologica.

L’artista e performer – cosentina di nascita e perugina d’adozione – muove dall’autoindagine per portare avanti una complessa esplorazione del mondo esterno e dell’uomo contemporaneo, ogni giorno alle prese con le contraddizioni, le debolezze, le instabilità che descrivono questa epoca.
“Per giungere fino a te” è dunque un vero e proprio compendio dei principali cicli che Lo Feudo ha portato avanti in questi anni. Eterogenei per la tematica ma allo stesso tempo legati da un fil rouge: il proprio vissuto.
Ecco quindi che possiamo ammirare le dualità vita/morte, luce/buio, sogno/realtà, presenza/assenza, osservare l’amore dell’autrice per la sua terra d’origine, la riconoscenza verso figure del passato che hanno segnato la sua crescita artistica e di vita, la sensibilità verso drammi tristemente attuali come la violenza sulle donne.

La cifra stilistica figurativa di Adele, l’uso peculiare del colore, in particolare del fucsia, la forza monumentale delle figure consentono all’osservatore di empatizzare subito con il suo mondo pittorico, in cui neorealismo e post pop sconfinano con originalità nell’iperrealismo, nel surrealismo e nel concettuale.
Nell’arte dell’eclettica pittrice coesistono un percorso solido alle spalle e un talento finalmente libero di esprimersi, ma soprattutto emerge il coraggio di una donna artista dei nostri tempi, che ha saputo superare gli ostacoli e abbattere le barriere che la vita le ha messo di fronte, che ha ottenuto la gioia passando per la sofferenza, che si pone degli obiettivi e lotta quotidianamente per raggiungerli.

Steve Jobs sosteneva che «siamo qui per lasciare una traccia nell’universo». Adele Lo Feudo quella traccia la sta lasciando, ogni anno sempre più evidente, ogni anno sempre più profonda… e non è difficile immaginare che il bello deve ancora da venire.

Marco Botti, giornalista culturale

Adele Lo Feudo: la narrazione dell’interiorità

Adele Lo Feudo, in arte ALF,   cosentina, da anni vive a Perugia  ma con le sue opere è sempre presente in terra natia.

I suoi ritratti, la cui caratteristica principale è la rappresentazione di corpi acefali (capo e viso sono tagliati fuori dalla forma della tela e dall’inquadratura), sono dipinti  spesso in monocromia, con la tecnica del chiaro-scuro ed illuminati da dettagli del suo colore preferito: il fucsia.

Dalle sue pennellate emerge la psiche dei soggetti, spesso amici e amiche, anche se Adele ama soprattutto rappresentare se stessa in tele dal gusto iperrealistico.

Artista dalla creatività assolutamente indipendente e libera da ogni vincolo convenzionale, realizza opere in cui la realtà irrompe impetuosamente nelle sue tele con temi drammatici come, ad esempio, la violenza sulla donna.

Mediante la raffigurazione del proprio aspetto, l’invisibile e il visibile si uniscono. Tale percorso porta l’artista ad una profonda conoscenza di sè. Partendo da una foto, si sdoppia e recita due parti, modella e pittrice. Nei suoi ritratti e autoritratti, la fisionomia è accompagnata da oggetti o simboli che contribuiscono a definire la personalità e le attitudini dell’individuo, per descriverlo nella maniera più completa e minuziosa.

In tutte le sue personali, Adele Lo Feudo crea un filo conduttore tra le singole tele, così che una sua opera, isolata dal contesto in cui è nata, perde significato.

Suggestive e originali, le performance art ideate e scritte dall’artista, sono spesso rappresentate all’aperto o all’interno di gallerie d’arte o spazi espositivi, in occasioni di mostre ed eventi. Come nei dipinti, anche nelle performance il suo corpo è solo un pretesto per scoprire l’interiorità, resa manifesta con l’ausilio di stoffe colorate, fiori o altro.

L’arte di ALF, si nutre di temi la cui poetica risulta molto complessa, come morte e rinascita, dolore e speranza.

Alessandra Primicerio, critico d’arte

Adele Lo Feudo e la potenza evocativa del corpo umano

Intervista del 3 gennaio 2014

Rivista Stile Arte.it

 

Iniziamo con una breve scheda anagrafica. Nell’ambito dell’espressione artistica può immediatamente specificare il suo orientamento stilistico ed espressivo?

Sono una pittrice figurativo – concettuale.

Parto da un’immagine per stimolare l’osservatore a porsi delle domande, andando oltre.

Ci può raccontare imprinting visivi, immagini artisticamente ossessive, che hanno preceduto e assecondato la scelta di intraprendere la strada formativa per diventare artista?

Da piccola avevo un grande sogno: fare la pittrice.

Così dopo lo studio mi dedicavo a designare parti del corpo umano.

Inoltre, spesso andavo con mia madre a fare visita ad un’amica artista.

Ricordo ancora oggi che mi piaceva l’idea di uno spazio tutto personale, pieno di tele e colori, dove la fantasia e la creatività avevano libero sfogo.

La formazione vera e propria. Dove e su cosa ha particolarmente lavorato? Sono esistite, in quel periodo, infatuazioni espressive poi abbandonate? Come si sviluppa e si conclude – nel senso stretto dell’acquisizione dei mezzi espressivi – il periodo formativo?

Dopo il liceo classico mi sono laureata in legge.

La mia passione è però sempre stata la pittura e così ad un certo punto della mia vita, anche per via di alcuni importanti accadimenti, ho deciso di tornare sui miei passi.

Prima ho conseguito il titolo di interior designer lavorando in tale settore per sette anni e poi, siccome la pittura da passatempo era diventata una costante della mia vita, mi sono diplomata “maestro d’arte”.

In tal modo ho avuto una formazione nel settore che amavo e poco conoscevo e nel quale mi ero sempre mossa da autodidatta e sperimentatrice autonoma.

Ho molto lavorato sul corpo umano, in particolare viso e mani.

Ho raggiunto uno stile figurativo basato su di una scelta cromatica che, partendo dal bianco e nero per richiamare il tema del doppio (vita–morte; bene–male; luce–ombra), inserisce, di volta in volta,  altri colori, a seconda di ciò che voglio esprimere.

Nell’ambito dell’arte, della filosofia, della politica, del cinema o della letteratura chi e quali opere hanno successivamente inciso, in modo più intenso, sulla sua produzione? Perché?

Mi ha colpito particolarmente Frida Kahlo, come artista e come donna, soprattutto per il tema del doppio.

Sono affascinata dal figurativo, non tanto per la rappresentazione del corpo, quanto per quello che, attraverso lo stesso e le sue posizioni, io riesco a cogliere e dire.

L’anima è per me fondamentale (Le due Frida).

Gli esordi come e dove sono avvenuti? Ci può descrivere le opere di quei giorni e far capire quanto e come le stesse – anche per opposizione – abbiano inciso sull’attuale produzione?

Gli esordi sono avvenuti in una mostra ai tempi del liceo. Partecipavo con due tempere: Catullo e Lesbia e Paolo e Francesca sorpresi da Cianciotto.

La pittura era semplice ma i moti dell’anima già mi coinvolgevano molto.

Senza quelle mie opere non sarei arrivata ai dipinti di oggi con inquadrature molto diverse, atte a cogliere posizioni che evidenziano tensioni, dispiaceri, malinconie, sensualità.

Anche le pennellate dicono, se viste con attenzione, della caducità e fragilità della vita.

Quali sono stato gli elementi di svolta più importanti dall’esordio ad oggi. Possiamo suddividere e analizzare tecnicamente, espressivamente e stilisticamente ogni suo periodo?

Lo studio approfondito di vita ed opere di Frida Kahlo e di grandi architetti come Le Courbisier, Wright, Giò Ponti, Ghery mi hanno portato a concepire l’opera in modo diverso ed a non soffermarmi solo sulla resa pittorica.

Anche la frequentazione dell’Istituto d’arte ha inciso positivamente sulla mia abilità tecnica.

Prima dipingevo a tempera, poi sono passata all’olio.

Per un periodo ho applicato tale tecnica su supporti diversi dalle tele, utilizzando telai per il ricamo, bandiere, scatole di legno a forma di gabbia, giradischi o valigia.

Poi ê stata la volta di garze, corde di chitarra, chiodi, filo da pesca, piume, molle, fino a praticare anche dei tagli.

Per ragioni di salute sono passata all’acrilico.

Non mi piaceva ma in seguito mi sono resa conto che era la mia tecnica.

Richiedeva velature, velocità nella stesura ed idee chiare.

Oggi uso i colori acrilici come se fossero ad olio.

Ci sono persone, colleghi, collezionisti, galleristi o critici ai quali riconosce un ruolo fondamentale nella sua vita artistica? Perché?

Ho avuto come docenti i pittori  Ugo Levita e Marco Balucani e lo scultore Marco Mariucci.

I loro insegnamenti e le loro opere mi sono state molto utili.

Mi ê sempre piaciuta la pittura di Franco Venanti.

Un ruolo importante ê stato svolto anche da Emidio De Albentiis, curatore della mia prima personale. Mi ha fatto  capire come organizzare una mostra e mi ha dato altri validi suggerimenti.

Materiali e tecniche. Ci può descrivere, analiticamente, come nasce una sua opera del periodo attuale, analizzandone ogni fase realizzativa, dall’idea alla conclusione?

Uso l’acrilico su tessuti di vario genere, anche montati su telaio.

Il tutto parte da un’idea che spesso di notte scatta nella mia mente. Subito la schizzo su una delle mie agende, sotto forma di francobollo; in pratica piccoli ma completi dipinti. Un pó per omaggio a mio padre, collezionista di francobolli, che mi regalò, quando avevo dieci anni, la prima valigetta con colori ad olio, un pó perché, a differenza del passato, mi è sufficiente buttare giù velocemente l’idea senza ricorrere ad un disegno di maggiori proporzioni.

Poi realizzo degli scatti fotografici sul soggetto da rappresentare, manipolandone anche il colore. Infine dipingo.

Progetti nell’ambito espressivo e tecnico?

Ho da poco finito un ciclo di ventuno opere sul cimitero monumentale di Perugia e vorrei realizzare una personale dal titolo “Qui non si muore”.

Le opere dovrebbero essere disposte in modo tale da far comprendere il vero tema trattato: un inno alla vita ed ai valori perduti.

Maurizio Bernardelli Curuz, critico d’arte e giornalista

Sperimentazione e passione nella pittura di Adele Lo Feudo
di Emidio De Albentiis

Ci sono passioni che, pur potenzialmente presenti fin dal primo fiorire dell’autonomia personale di ognuno di noi, si fanno strada solo dopo percorsi se non tortuosi, perlomeno multidirezionali: è il caso dell’amore per la pittura (e, più in generale, per l’espressione artistica) di Adele Lo Feudo, cosentina di nascita ma ormai perugina di adozione. Il suo bagaglio culturale si è infatti nutrito, nel tempo, di elementi preziosi come la formazione classica durante il liceo, gli studi giuridici, prima, e di architettura d’interni, poi, durante gli anni universitari: in epoca più recente, quando la pittura stava diventando da semplice passatempo a profonda ed essenziale ragione di esistere, Adele ha coerentemente approfondito le tecniche artistiche conseguendo brillantemente il diploma di Maestro d’Arte. Ho voluto sottolineare questo articolato cammino non per semplice intento didascalico, ma per cogliere, fin dall’inizio, la dimensione complessa dell’ispirazione di Adele Lo Feudo, perfettamente rispecchiata dalla sua poetica d’artista e dal suo stile, che si richiamano entrambi, per più versi, ad una sorta di dimensione neo-pop venata di concettualismi a sfondo esistenziale, come si vedrà meglio più avanti. Né si deve sottacere un’evidente inclinazione della pittrice verso un marcato sperimentalismo che la porta spesso ad arricchire i dipinti con significativi ed espressivi inserti polimaterici, segno ulteriore – peraltro comune a tante esperienze di quest’ultimo secolo di arte – di quella volontà, tipica della Lo Feudo, di voler andare oltre i confini del linguaggio puramente pittorico.
Soffermandomi più volte a parlare con lei della sua visione estetica, ho avuto la fortuna, in un’occasione, di dare uno sguardo anche ai suoi taccuini d’appunti, in cui è possibile cogliere le tantissime idee che Adele elabora e sviluppa nella sua ricerca: solo una parte di questa produzione riesce poi a trovare effettivo spazio nella produzione pittorica, non tanto per lentezza esecutiva (cosa che, in sé, non sarebbe comunque un male), ma proprio per l’affastellarsi quasi caotico e magmatico con cui i progetti si rincorrono nella mente dell’artista. È il segno, questo, di un’urgenza emotiva che accompagna sempre i dipinti di Adele, che non sembrano conoscere pause nel loro voler trasmettere un’interiorità pervasa al tempo stesso da delicati trasalimenti e da tensioni destabilizzanti. Ma non si tratta solo di un’ispirazione neoromantica tutta centrata su se stessa, anche se questo tema occupa tanto il suo spirito: la Lo Feudo cerca anche, per quanto le è possibile come artista, una dialettica con l’Altro da Sé. Ho qui in mente, tra i dipinti del 2009, un’opera come On, dedicata ad Albert Einstein, o l’acrilico Nel silenzio della notte, in cui una porzione in sezione dell’Empire State Building di New York (che in qualche modo ricorda il celeberrimo lungometraggio Empire di Andy Warhol) dialoga con una scomposizione cromatica ispirata all’architettura del grattacielo e non priva di echi mondrianeschi.
È però opportuno tornare sui lavori per più aspetti autobiografici dell’artista, o perlomeno su alcuni di essi: uno dei temi centrali, sia sul piano formale che su quello più squisitamente poetico, è da individuare nella volontà di Adele di esprimersi mediante una sorta di caratteristica duplicazione, a volte di immediata e dichiarata leggibilità (come, ad esempio nel doppio autoritratto Mi specchio e mi rispecchio, con, ben percepibile, un dialogo tra solarità immediata e più inquieti palpiti notturni), in altri casi con ancor più sottili implicazioni. Penso, tra gli altri, a un dipinto particolarmente fascinoso come Che m’importa… se ho ali per volare!, in cui un altro autoritratto della pittrice, nuda e accoccolata entro uno spazio celeste indistinto senza che sia possibile scorgere il suo volto, pare racchiusa in se stessa nonché frenata nel suo possibile volo a causa di pernetti metallici infissi nel suo corpo: nella parte superiore dell’opera, la Lo Feudo ha però inserito il profilo di due ali, in parte realizzate grazie ad incavi nel supporto e in parte con elementi dipinti talvolta terminanti con delle piume. Benché il titolo di questo lavoro si presti ad una duplicità semantica, credo che la migliore interpretazione, naturalmente anche e soprattutto sulla base dell’immagine creata dalla pittrice, consista nel difficile rapporto tra il nostro fatale essere legati – quantomeno per forza di gravità – alla terra e il desiderio di poter spaziare nell’infinito.
A questo punto dell’analisi ritengo importante sottolineare il rilevante ruolo intellettuale e la notevole forza ispiratrice rivestiti, per Adele Lo Feudo, da una pittrice straordinaria come Frida Kahlo: proprio in tempi molto recenti, Adele ha compiuto un viaggio in terra messicana per renderle omaggio, ma l’amore per la geniale e sfortunata artista rimonta certamente indietro nel tempo. Da Frida sembrano quindi discendere opzioni stilistiche come la predilezione per le immagini doppie e le implicazioni esistenziali, capaci simultaneamente del tormento e del sogno, nonché un certo, sensibile grado di autobiografismo (tra le altre opere, in tal senso significative, dell’artista cosentina, citerei due dipinti del 2009 dal medesimo titolo, Il mio limite, in cui l’iride oculare assume una funzione di complesso e travagliato diaframma tra Sé e il mondo esterno). Naturalmente, con questo, non si intende affermare che la pittura della Lo Feudo sia semplicemente un calco della grandissima arte di Frida Kahlo, quanto sottolineare come quest’ultima sia stata e continui ad essere un punto di riferimento e di meditazione. Anche lo stesso iconismo di Frida sembra avere trovato spazio nella pittura di Adele, ma tale elemento formale appare essere una scelta con radici ancora precedenti, derivanti da quelle atmosfere neo-pop cui già si faceva cenno: a questo proposito pare utile ricordare alcune esperienze pittoriche di qualche anno fa, centrate su celebri icone di massa come, ad esempio, Moana Pozzi e la cantante italo-francese Dalida. Questa mostra perugina di Adele Lo Feudo va vista certamente come una tappa importante del suo cammino di artista, senz’altro aperto verso ulteriori traguardi ancora tutti da scoprire sia per lei stessa che per quanti vorranno soffermarsi ad ammirare i suoi lavori.

Emidio D. De Albentiis, 

Direttore Accademia Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia